
Il contratto di lavoro intermittente
Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 25 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il 25 anno di età.
La vicenda aveva visto un lavoratore citare in giudizio l’azienda presso la quale aveva lavorato, chiedendo che gli fosse riconosciuto il corretto inquadramento della sua posizione. Nella specie, mentre il tribunale aveva rigettato la sua domanda, non così la Corte d’Appello che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva invece accertato l’illegittimità del contratto a chiamata, dichiarando al contempo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando altresì l’azienda al risarcimento del danno.
Dello stesso parere si è poi mostrata anche la Corte di Cassazione, che, nel rigettare il ricorso dell’azienda, ha confermato quanto deciso dalla corte di merito.
I giudici hanno infatti ricordato che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 34, nella versione modificata dalla L. n. 92 del 2012 e vigente ratione temporis, prevede che il contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 25 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il 25 anno di età.
Tale requisito anagrafico concorre, unitamente agli altri di natura oggettiva, ad individuare il campo di applicazione della disciplina del lavoro intermittente in quanto costituisce un presupposto per la stipulazione del contratto.
La disposizione è stata ritenuta conforme all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonché all’art. 2 par. 1 e par. 2 lett. a) e all’art. 6 par. 1 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, che regolano la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, perchè perseguendo una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro, non determina una discriminazione in ragione dell’età.
Quanto alla natura giuridica, esso è un requisito di liceità del contratto di tipo soggettivo che si accompagna a quelli di tipo oggettivo riguardanti il carattere discontinuo o intermittente della prestazione lavorativa ovvero allo svolgimento dell’attività in predeterminati periodi nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
La finalità della norma è quella di favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, ai sensi dell’art. 6, par. 1 della direttiva 2000/78.
La disposizione è stata, poi, ritenuta adeguata e necessaria per ottenere una certa flessibilità sul mercato del lavoro onde fornire uno strumento di occupazione per le persone minacciate dalla esclusione sociale o coinvolte in forme di lavoro illegale.
La mancanza di tale requisito, stante la sua rilevanza in relazione alla struttura del contratto e agli interessi pubblici sottesi, come sopra evidenziati, determina la nullità del negozio per contrasto con norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. cd. nullità virtuale) e, dall’altro, la possibilità di una conversione ex art. 1424 c.c., ove il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di un’altra fattispecie e previo accertamento, riservato in via esclusiva al giudice di merito, della volontà delle parti.
Cass. civ., Sez. Lav., 11 dicembre 2020, n. 28345
Redazione A-I.it Avvocati Associati
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