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Fondi pensione e diritto alla privacy

L’interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, e dall’ordinamento configurati come prevalenti nel necessario bilanciamento operato, fra i quali l’interesse, ove autentico e non surrettizio, all’esercizio del diritto di difesa in giudizio.

Nella vicenda in esame, il Tribunale aveva accolto la domanda di accesso alla documentazione e ai dati relativi alla posizione di previdenza complementare ed ai beneficiari di un fondo pensione presentata dalla moglie del beneficiario, in quanto, versando quest’ultimo in condizioni di salute già gravemente compromesse, aveva provveduto alla sostituzione dei beneficiari, indicando altri soggetti al posto della medesima e della figlia. Da qui l’intenzione della ricorrente di promuovere un giudizio di riduzione per lesione di legittima o l’azione di annullamento ex art. 428 c.c., anche per conto della minore, per la quale la ricorrente, una volta venuto a mancare il marito, aveva accettato l’eredità con beneficio di inventario previa autorizzazione del giudice tutelare. Il tribunale aveva dunque reputato la domanda fondata, posto che il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24 contempla la necessità di difesa in giudizio, tutelando tale interesse come giuridicamente prevalente.


Il fondo di previdenza aveva dunque proposto ricorso per cassazione.


I giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso, hanno in primo luogo ricordato gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei “fondi pensione” costituiscono una categoria assimilabile alle assicurazioni sulla vita, attesa la loro causa o finalità riconducibile al genus previdenziale, vuoi con riferimento alla primigenia fase di accumulo della provvista monetaria, vuoi con riferimento alla successiva fase di erogazione della prestazione pecuniaria.


Ed è stato rilevato che il sistema pensionistico si divide in due grandi settori, la previdenza obbligatoria e quella complementare, quest’ultima progressivamente affiancatasi a quella obbligatoria: i sistemi pensionistici si diversificano in ragione dei meccanismi di gestione delle risorse, distinguendosi in sistemi “a ripartizione” e “a capitalizzazione”; la riforma organica del sistema della previdenza complementare fu realizzata con il D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.


Il D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 24, comma 3, Disciplina delle forme pensionistiche complementari, stabilisce che, in caso di morte dell’aderente ad una forma pensionistica complementare prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica, l’intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi soggetti dallo stesso designati, siano essi persone fisiche o giuridiche. In mancanza di tali soggetti, la posizione, limitatamente alle forme pensionistiche complementari individuali, viene devoluta a finalità sociali secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Nelle forme pensionistiche complementari collettive, la suddetta posizione resta acquisita al fondo pensione.


La legge, dunque, ha espressamente disciplinato quali siano i soggetti, a seconda delle diverse evenienze, titolari della posizione dell’aderente al fondo.


In tale ambito, una tutela particolarmente intensa è assicurata al titolare della posizione individuale, il quale ha facoltà di designare i soggetti beneficiari, anche diversi dagli eredi.


Per quel che concerne il profilo attinente alla privacy, la corte ha ricordato che il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24 (sino alla sua abrogazione, avvenuta ad opera del D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, art. 27, comma 1, lett. a, n. 2) prevedeva gli specifici casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza consenso.


Fra di essi, l’art. 24, comma 1, lett. f) contempla l’esigenza di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.


L’art. 24 cit. esclude che occorra il consenso dell’interessato, allorché il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto in giudizio, pur se tali dati non riguardino una parte del giudizio in cui la produzione viene eseguita: unica condizione richiesta, invero, è che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, in quanto, cioè, la produzione sia pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, con utilizzo dei dati esclusivamente nei limiti di quanto necessario al legittimo ed equilibrato esercizio della propria difesa.


Dunque, il trattamento dei dati è ammesso ai fini della tutela giudiziaria dei propri diritti.


Pertanto, l’interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere, a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, e dall’ordinamento configurati come prevalenti nel necessario bilanciamento operato, fra i quali l’interesse, ove autentico e non surrettizio, all’esercizio del diritto di difesa in giudizio.


Né il diritto alla difesa giudiziale, anche mediante la conoscenza dei dati a ciò strettamente necessari, previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24, comma 1, lett. f), può essere interpretato in senso restrittivo, correlato cioè al solo titolare dei dati soggetti a trattamento: al contrario, anche altri soggetti possono formulare la richiesta di accesso ai dati, sempre se portatori di un interesse tutelabile in sede giudiziaria e per la cui realizzazione sia indispensabile conoscere i dati personali richiesti.


Cass. civ., Sez. I, 13 dicembre 2021, n. 39531

Redazione A-I.it Avvocati Associati

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