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Il diritto alla riservatezza e il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche

Diritto alla riservatezza: il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può essere effettuato anche senza il consenso dell’interessato, ma pur sempre nel rispetto, tra l’altro, del codice deontologico.

La vicenda verteva sulla diffusione di una conversazione rispetto alla quale il Garante per la protezione dei dati personali aveva dichiarato l’illiceità della sua acquisizione e della sua conseguente diffusione. Intimata, e verificata la rimozione della registrazione dal sito internet, il Garante aveva poi vietato l’ulteriore diffusione della conversazione.

La società autrice del documento ave dunque impugnato tale provvedimento. Sorvolando sulle vicende giurisdizionali, preme qui evidenziare le conclusioni cui sono giunti i giudici della Corte di Cassazione

Orbene, per quanto riguarda la definizione dei dati oggetto di tutela, viene in primis in rilievo quella di dato personale.

Il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, comma 1, contiene alla lett. d) la nozione corrispondente, che peraltro è rimasta immutata rispetto a quella precedentemente contenuta nella L. n. 675 del 1996, art. 22, comma 1.

Tale è il dato idoneo a rivelare tipi di informazioni, espressamente elencati, attinenti a differenti profili della persona, relativi cioè a caratteristiche, stati, condizioni ovvero all’esercizio di libertà fondamentali: “qualunque informazione relativa a persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”.

In simile contesto la nozione di dato sensibile si ricava dalla lett. d) del medesimo art. 4, nel senso che è considerato tale il dato idoneo a rivelare, tra l’altro, “le opinioni politiche” dell’interessato. Va precisato che le ragioni dell’attribuzione di “sensibilità” a un simile dato personale ha un fondamento costituzionale, essendo da rinvenire nell’esigenza di evitare trattamenti discriminatori dell’individuo per ragioni attinenti alle sue caratteristiche, condizioni o convinzioni, nel quadro di una rilettura in senso moderno del principio di eguaglianza (art. 3 Cost).

Non rileva la circostanza che il dato (id est, l’opinione politica) sia stato acquisito da un soggetto diverso da colui al quale si deve la messa in onda del programma di divulgazione, dal momento che il trattamento del dato è in ogni caso riferibile al titolare, e non è in discussione (nè lo è mai stato, per lo meno in base a ciò che si evince dalla sentenza impugnata) che il titolare del trattamento fosse per l’appunto la società ricorrente.

Il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può essere effettuato anche senza il consenso dell’interessato, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137, comma 2, ma sempre nel rispetto delle modalità tese a garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità dell’interessato, del diritto all’identità personale, nonchè del codice deontologico dei giornalisti, che ha valore di fonte normativa in quanto richiamato dal detto D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 139.

In siffatti termini si è detto costituire violazione dell’art. 2 del codice deontologico dei giornalisti, che vieta artifici e pressioni indebite nell’attività di raccolta delle notizie, la divulgazione di una conversazione ripresa con una telecamera nascosta dal giornalista all’insaputa del suo interlocutore.

Lo stesso criterio di giudizio non può che valere, per identità di ratio, dinanzi a modalità altrettanto subdole di acquisizione dei dati informativi, come quelle insite nell’imitazione dell’identità personale altrui: segnatamente nell’imitazione, abilmente realizzata durante il corso di una telefonata, della voce di un soggetto che si trovi in rapporto privilegiato con l’interlocutore, allo scopo di ricevere informazioni private.

Cass. civ., Sez. I, 24 dicembre 2020, n. 29584

Redazione A-I.it Avvocati Associati

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