
Preliminare di vendita, sanatoria degli abusi edilizi e nullità
La sanzione della nullità prevista dall’art. 40 l. n. 47/1985 non trova applicazione nei confronti del preliminare di vendita poiché dalla circostanza che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1° settembre 1967. Di conseguenza, in queste ipotesi, si può dar luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 c.c. per il definitivo.
Una società immobiliare aveva convenuto in giudizio un’altra società in qualità di promittente venditrice, chiedendo che venisse pronunciata una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., che producesse gli effetti del contratto definitivo non concluso a causa dell’inadempimento della convenuta, oltre alla condanna della stessa al risarcimento dei danni derivanti da ritardo nel trasferimento della proprietà.
Orbene, sorvolando in tale sede sulla vicenda giudiziaria della questione, preme evidenziare quanto dalla Corte di Cassazione concluso.
La sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, per i negozi relativi a immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione ai soli contratti con effetti traslativi e non anche a quelli con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, non soltanto in ragione del tenore letterale della norma, ma anche perché la dichiarazione di cui all’art. 40, comma 2, della medesima legge, in caso di immobili edificati anteriormente all’1 settembre 1967, o il rilascio della concessione in sanatoria possono intervenire successivamente al contratto preliminare. Ne consegue che, in queste ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si può far luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 c.c.
La nullità comminata dall’art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40, della L. n. 47 del 1985, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.
Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2021, n. 6191
Redazione A-I.it Avvocati Associati
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